Racconti

Raccogliamo qui le suggestioni, i racconti e gli aneddoti sulla zona di Is Mortorius.

Scrivi un commento qua sotto o inviaci una mail all’indirizzo ismortorius@gmail.com con “RACCONTI” come oggetto e provvederemo a pubblicare sul sito i tuoi racconti.

Is Mortorius 004

Risposte

  1. …sospirando il ritorno, perché non gli piaceva la ninfa.

    Omero, Odissea

  2. È un racconto amaro il mio. Ogni anno, da quando vivo vicino al fiume, mi ritrovo a dover ripulire fuori dalla recinzione.
    Ho una collezione di sacchetti dell’immondizia perfettamente confezionati, bianchi, azzurri, con esotiche scritte… Alcuni pezzi, i più grandi, sono stati di ombrelloni: saldamente inseriti nella sabbia hanno sfidato il vento, e sono stati vinti. Il loro funerale è stato celebrato in mezzo agli oleandri, dove adesso giacciono. Le bottiglie, di vetro e di plastica, indifferentemente, aspettano insieme un passaggio sul ciglio della strada, accompagnate da silenziose ciabatte aperte, calzini e secchielli bucati.
    Da quando i cassonetti si sono estinti, poi, la questione è peggiorata. A nulla sono valse le telefonate e le visite presso il comune: i rifiuti sono tuoi e te i gestisci tu.
    No, gli addetti alla pulizia della strada non si sono mai visti, e se sono passati, erano certo innamorati.
    Uno o due secchi sul litorale servono a poco. si riempiono subito ed evidentemente la logica dei visitatori non li interpreta come contenitori per sacchetti, bensì come contenitori di piccoli rifiuti.

    Scriverò un inno alla multa, una lode al sorvegliante…

  3. Racconto di Ferragosto

    Scoop in un estate che scoppia: avvistata Foca Monaca al largo di Is Mortorius! Un centauro bagnino di salvamento salta su un motorino d’acqua e la insegue. La folla di bagnanti segue l’azione dalla riva, dagli scogli, dal fortino. Trattengono il fiato. Qualche bretella di costume cede per l’emozione. I bambini fanno salti acrobatici e capriole in acqua. Il motonauta si inabissa e sparisce. Qualcuno da terra avvisa le redazioni dei giornali, delle televisioni e la Capitaneria di porto. Non c’è altra fotonotizia che tenga. Il promontorio de Is Mortorius fa parte della Sardegna Fatti Bella per Soru e consoru. Il nautilo centauro riemerge come un sommergibile. Porta con sè seduta dietro come in vespa, la Foca Monaca. Lei si tiene stretta a lui, abbracciandolo da dietro con le pinne prensili. La spiaggia applaude ed esulta. Riguadagnata la riva il centauro aiuta la foca a scendere. Tutti le si fanno dappresso, come fosse sbarcata una bond girl. Vorrebbero autografi da quel mitico e raro esemplare di bue marino. Tanti scattano foto con i cellulari. “Lasciatela respirare –dice il prode centauro facendo scudo con il proprio corpo di tipo da spiaggia. “Posso stare solo pochi minuti miei cari – dice la foca – poi mi mancherà l’aria”. Tutti quanti, compresi gli ambulanti africani, trattengono il respiro, in apnea, come sott’acqua. Lei si accomoda sopra un piccolo scoglio che sembra un puff. Pare una sirena o una velina nonostante i baffi lunghi come alghe di Poseidonia. “Era solo per dirvi che al tempo dei nuraghi io c’ero ed ero la jana regina di questo nuraghe che voi chiamate Diana e comandavo una guarnigione di guerrieri pescatori che non mi facevano mai mancare pesce fresco, molluschi, ricci, orziadas e perfino datteri e triglie di scoglio che quasi quasi, al giorno d’oggi, nel mare pestato di adesso, non si trovano più come una volta”. Fa una pausa. Tutti pendono dalle sue labbra millenarie. Le resta solo un tot di fiato. “Poi vennero i punici, i romani, i marziani e tutti gli altri invasori e non fu più la stessa storia fino al botto mondiale della seconda guerra che ci aveva messo tutti col culo per terra e i nuraghi costieri diventarono bunker antiuomo, antinave, antiaereo, antitutto”. Ormai in petto le avanza solo uno sbuffo di fiato. “I fenici non li ho mai conosciuti – dichiara- a quel tempo non ero ancora nata”. Indossa solo il pezzo di sotto di un bikini giallo fiorito di stelle marine. Tutto il resto era in bella vista e i maschi in mutande da bagno guardavano e gradivano. Il sole forte e chiaro comincia a disidratarle la pelle. Le signore di spiaggia le offrono creme idratanti e protettive. “Ora torno dal Bue Marino, mio marito e dalle mie figlie monachelle ma intanto voi tutti dovrete premere affinché questo promontorio venga risanato come merita dato che è un gran posto ed un luogo della memoria e dell’immaginario dove io tanto tempo fa ho conosciuto quel tricheco di mio marito che ho sposato a Cala Gonone e lì, per tanto tempo, abbiamo lavorato in grotta per l’azienda di turismo e soggiorno, però diteglielo agli archeologi, ai geologi e agli antropologi che nei fondali di questo mare è pieno di relitti militari da ripescare ed esporre sul promontorio, in un memoriale contro i disastri della guerra d’aria, di mare e di terra e io ne ho viste e passate tante e vi raccomando di stare in guardia che ancora si possono trovare in giro bombe inesplose che ai ragazzini gli sembrano pigne per giocare”. Tutta una tirata mozzafiato. E’ sfinita e ansimante. Il giovanotto motonautico le propone un passaggio, offrendosi di riportarla al largo. “Faccio da sola –dice mettendosi in piedi e in posizione di tuffo come da un trampolino. “Vi lascio questa – indica allungando una conchiglia al suo motonauta –è una cypraea palmaris, una conchiglia speciale che può servire per parlare con me, quando capito nei fondali di queste parti”. Manda un bacio a tutti e si lancia in mare con un tuffo olimpionico supercarpiato. Scompare nella calma piatta che dagli scogli porta all’orizzonte del golfo. Tutti rimangono muti e salati come pesci fuor d’acqua . Ecco che arrivano giornalisti e cameraman, reporter e paparazzi, cronisti di Quartu e provincia, zoologi e biologi marini, perfino motovedette della Capitaneria ma ormai tutto è finito. Il motonauta fa in tempo ad avvisare tutti i bagnanti di non dire una parola dell’accaduto, spiegando che in caso contrario la conchiglia cellulare non avrebbe funzionato e la Foca Monaca non sarebbe mai più tornata tra loro mortoriani di scoglio e di spiaggia. Ecco fatto! Raccontano solo che si era trattato di un materassino gonfiabile a forma di tricheco che il vento aveva spinto al largo a raffiche di maestrale. Succede spesso ai materassini zoomorfi. In tutto il giorno sulla spiaggia di quel mare pintato e sugli scogli che inghirlandano is Promontorius non si era alzato neppure un alito di vento. Ancora se ne parla in separata sede lungo tutto quel tratto di costa che unisce is Mortorius alla torre scomparsa di sant’Andrea. Effemme. Foca Monaca. Fata Morgana. Vai a sapere. Sta di fatto che, sottocosta, polpi e murene, nelle rispettive tane, ne discutono animatamente. Poi, come sempre, gli uni diventano insalata di mare e le altre frittura del golfo, insieme a calamari, orziadas, mangiatutto e ghiozzi. Notizia riservata: tra i ruderi semisommersi di una villa rustica romana in località marina di sant’Andrea, abita un tritone mummungione che, a richiesta, può raccontare di quando e come i Fichi d’India ributtarono in mare gli invasori francesi, sparando spine acuminate come freccie. Era successo poco più in là, proprio tra sant’Andrea, Foxi, il Margine Rosso, la Torre di Carcangiola, quella di mezza spiaggia e il Twist Bar. Tutti i testimoni dello straordinario accadimento, sono comunque convinti che il bagnino motonauta, andando al largo a recuperare la Foca, abbia avuto il tempo e il modo di farsela in tutto e per tutto. Altrettanto lei aveva preso lui senza risparmio, in lunga apnea. Schizzi, spuma e bolle. Sincronizzate evoluzioni acquatiche ed erotiche. Avevano nuotato in immersione l’uno con l’altra, l’uno dentro l’altra. La pelle di lei era scivolosa come quella di una anguilla o di una murena ma proprio questo era stato il bello: nuotare riuscendo a tenerla tra le braccia, tra le gambe, pinneggiando, carpiando e ricarpiando. A certi bagnini quando sono in mare gli spuntano le branchie. Quando riguadagnano la riva, tutto torna come sempre, anche dentro il costume. Si sa che in genere la chincaglieria dei maschi , messa in mare, si ritrae come un polpicino moscardino che gioca a rimpiattino. Questo non è il caso del qui presente bagnino. Se gli chiedete conto lui fa l’indiano come lo farebbe un fico d’India. Sorride e butta il suo sguardo salvagente al largo de is Mortorius, in un punto che solo lui conosce. Quel figo del bagnino si chiama Gino. Quella strafiga della Foca Monaca si chiama Lorj Majorca.
    Nota informativa. Per dirla tutta, qualcosa di simile era già capitato una quindicina di estati prima. Stesso luogo, stessa ora, sotto lo stesso sole del Golfo, in quello stesso mare quartese, stessa foca Monaca, stesso bagnino superdotato. Quotidiani e teleradiogiornali avevano dato notizia dell’avvistamento ma niente di più. L’apparizione miracolosa di un Bue Marino femmina che tiene un comizio tra gli scogli e fa sesso con un baywatcher che la ha portata a terra, avrebbe potuto stravolgere l’ordine costituito della giovane Seconda Repubblica. Meglio imporre la secretazione di Stato, tanto per non sbagliare così come era stato fatto per la faccenda di Gladio e dei Gladiatori anfibi di F.K. nascosti in una base segreta ingrottata nel tratto di costa compreso tra Bosa e Alghero. La storia è così: si ripete e ogni cosa ne porta un altra.

    Carlo Antonio Borghi

  4. NON SO DOVE INSERIRMI….. MA QUALCUNO DI VOI SA DIRMI COS’E’ QUELLA VASCA IN GRANITO SEMI-AFFIORANTE?

  5. Promontorius (quarta puntata) stand by: nota del narratore

    Il suo nome è Palmina. Il suo soprannome è Pà. In questa storia a puntate ha il compito di decifrare e digitare la narrazione ma in vita sua non è mai stata a Promontorius. Palmina compirà 23 anni a Ottobre ma non ha mai messo piede a Promortorius. Lei è cagliaritana, abita in città, però non ha mai visto quel luogo del golfo degli Angeli. Studia per laurearsi in Lettere eppure ancora non ha “tuffato” in quell’acqua di spiaggia e di scoglio dalla quale ogni giorno nasce il sole nostro. Palmina è carina, precisina, peperina e un poco maestrina. “E’ tempo che tu vada a is Mortorius per parte mia –le dico da mò, anche da prima dell’estate, ma inutilmente. Prima la scusa delle lezioni e degli esami e ora che questi sono finiti ci si mette Alex, suo fidanzato, che pur essendo di Quartu, non ne vuole sapere di Is Mortorius. Perlomeno così dice lei. Lui è informatico, così dico a lei: fatti formattare ai Mortorius dal tuo fidanzato, poi “tuffate” insieme. Sorride sorniona ma finisce lì. Potendo farlo la porterei io laggiù, magari in calesse o in vespa, per metterla a bagno “tuffandola”. Come può essere che una cagliaritana fidanzata con un quartese di viale Colombo non sia mai andata a passare un paio d’ore di mare a Promontorius? Forse per venirne fuori toccherà ricorrere alla mano santa delle minacce. Minaccia: fino a quando la Palmina che trascrive e riversa questa storia nel sito apposito, non si deciderà a fare visita a is Mortorius per “tuffare” e fotografare per me a destra, a manca e sopra il Promontorius, io narratore non continuerò a raccontare. Morale della favola-Appello: se voi che visitate questo sito, sensibili alle foglie e agli scogli, alla sabbia e agli occhi di Santa Lucia, alle orziadas e alle patelle, siete interessati a che questa storia vada avanti nel tempo e nello spazio virtuale, fate qualcosa per convincere la Palmina ad andare di persona, con o senza costume da bagno a is Mortorius. Altrimenti, cari Mortoriani e belle Mortoriane, io la pianto qui dove siamo rimasti alla puntata intitolata Intervallo. Altre storie mi aspettano, storie in attesa di essere trascritte dalle manine digitali di Pà Palmina.

    Vi saluto e sono vostro aff.mo e mortoriosissimo
    Carlo A. Borghi

    P.S. Resti tra noi ma la successiva puntata avrebbe raccontato della sensazionale apparizione della foca Monaca a Is Mortorius.

  6. Promontorius (terza parte) – intervallo

    (…) Le prime pecore della sua vita, Ugo le aveva viste in televisione, durante l’intervallo che separava un programma dal successivo. Un bel gregge di immacolate pecorelle disposte in un bel paesaggio di campagna sarda o romana, come in un presepio. Nessun belare, nessun campanaccio, nessun latrato di cani pastori, soltanto un tintinnare di paradisiache arpe. Blen- blen -delendenenen delen delen delen –delen delen tlin tlin tlin tlin tlin. Ugo era nato in un caseggiato lesionato dagli spezzonamenti del ‘43. Una casa costruita lì dove Villanova e la città finivano con il palazzo comunale e fascista, la birreria Ichnusa e l’ospedale psichiatrico di Monte Claro. La casa era stata consolidata con grossolane tamponature di cemento. Avrebbe affrontato così gli anni cinquanta, poi i sessanta e via via, scorrendo il 900 fino al 2008, quando finalmente finì impalcata, restaurata e tinteggiata. Ora propone al 21° secolo due facciate, imbellettate, una su Piazza Kennedy, (ex Pirri) e l’altra su via Marche. Era nato in quel tempo di radio che suonava canzoni passatempo, strappacuore. Motivi e motivetti per dimenticare la guerra. Ci sarebbe voluta la televisione per aumentare la distanza con quella brutta storia. La televisione, l’ula op, lo scoobydou, i tortellini panna e prosciutto, il ventilatore, la carne in scatola, il jukebox. La televisione che Salvatore Quasimodo chiamava “quel video della vita”, scese in terra e la terra non fu più la stessa, così come non era stata più la stessa durante e dopo la guerra. Ugo, le prime pecore dal vivo e dal vero, gli capitò di vederle proprio in quel tratto di costa che da sant’Andrea raggiungeva is Mortorius, a volte aldilà, altre volte aldiquà, della litoranea per Villasimius. Una volta se le ritrovò in formazione sparsa, sulla spiaggia della piccola insenatura di Torre sant’Andrea. Erano proprio lì dove tre o quattro barchette di pescatori dondolavano ancorate ognuna ad un blocchetto di cemento fermo sul fondo. Il pastore era in mare con i pantaloni arrotolati sopra le ginocchia a raccogliere orziadas e chissà cos’altro. Uno scenario perfetto per un intervallo con pecore al mare o per un quadretto di paesaggio con pecore e barche, Torre, e scogli. Una bella foto in bianco e nero da piazzare dentro l’album di famiglia, ma in quel momento nessuno in famiglia si trovava dotato di macchina fotografica. Intervallo: le pecore pascolavano nel teleschermo al suono di TOCCATA da “Le sonate per gravicembalo” di Pietro Domenico Paradisi (1707-1791). Ecco perché davano latte e lana speciali, senza eguali. Intervallo: se si dicesse sempre la verità la storia non esisterebbe (Voltaire). In realtà Ugo era stato a Is Mortorius, ancora prima di quella prima volta con suo nonno, sul calesse. Una bella mattina era stato prelevato da sant’Andrea e trasportato di là con la velocità del fulmine a ciel sereno. Tutti lo credevano al mare, a giocare tra le barche all’ombra della Torre. Invece era stato risucchiato da un disco volante molto simile ad un riccio di mare ma gigantesco e supersonico. Dentro non c’era anima viva, solo acquari con pesci trasparenti come meduse. Il volo era durato pochi secondi. Ugo era stato scaricato da uno scivolo direttamente sull’acqua bassa e verde che chiamano mare pintau. Un mare così a sant’Andrea proprio non c’era. Il tempo di un bagno e il disco aspirò Ugo con un tentacolo che finiva con una ventosa gommosa come quella dei polpi. In men che non si dica Ugo si ritrovò a sant’Andrea, al suo posto, tra le barche ferme e i soliti scogli. Non raccontò mai nulla a nessuno, né in famiglia, né ai suoi amichetti. Neanche ne fece parola quando suo nonno, fiero del suo calesse e dei suoi gradi di ex combattente lo condusse al Promontorius. Il disco si era dissolto nel nulla, come una bolla di sapone. Al momento dello sbarco, Ugo si era ritrovato tra le mani una maschera, un boccaglio ed un paio di pinne, proprio della sua misura. Non aveva mai avuto nulla del genere. Quando tornò a casa tutti gli chiesero conto di quella roba che portava. “Le ho trovate in acqua che galleggiavano –aveva risposto stringendosi al petto quella manna caduta dal cielo. Era tutta roba nuova di zecca. I grandi pensarono che chissà chi li aveva persi in mare. “Puoi tenerle, semprechè qualcuno non venga a reclamarle- gli dissero. Tenne tutto con se e ne andava fiero. Nessuno mai si presento a reclamare un bel nulla. Solo lui sapeva perché e non smise mai di tenerselo per sé. Così attrezzato diventò il terrore dei polpi di sant’Andrea e qualche tempo dopo anche di quelli di Is Mortorius. L’estate dopo, ebbe in dono un fuciletto subacqueo dotato di arpione e fiocine. Così diventò il terrore anche delle murene di quel tratto di costa. (continua)

    Carlo Antonio Borghi

  7. io invece sono daccordo con Adriana….Andrebbe riqualificata nel suo aspetto storico-culturale.Io vivo nelle vicinanze e un altro punto ristoro credo che sia troppo..Pensavo fosse adatto,vista anche la posizione tra mare e macchia mediterranea, ad un sito dove ospitare a cadenze regolari gruppi di persone per immergerli totalmente nella vita e nelle tradizioni sarde,con escursioni via mare(abbiamo il porto di capitana),a cavallo,o semplicemente per mezzo di navette visitando anche altri siti e spiagge nelle vicinanze.E magari la sera far gustare agli ospiti un bel piatto di malloreddus alla campidanese e un bel pezzo di proceddu arrustiu accompagnati dall’immancabile bicchiere vino…a scelta ma esclusivamente sardo!!! Un luogo dove star bene e in tranquillita’.NO AI SOLITI RISTORANTINI E PIZZERIE!!!!Di posti rumorosi ne abbiamo fin troppi!!

  8. Promontorius (seconda parte)

    (…) Il cavallo che aveva tirato il carro da Quartu Sant’ Elena a sant’Andrea, era lo stesso che aveva trasportato Ugo e suo nonno in calesse da sant’ Andrea fino a Is Mortorius. Il cavallo, nonno Antine, lo aveva chiamato Folgore, in onore alle omonime truppe d’assalto e, in aggiunta, come omaggio al Futurismo di Marinetti e delle sue combattive figlie futuriste. Folgore era stato staccato dal carro da trasporto e attaccato al calesse da passeggio, per riprendere la strada, in direzione prima di Flumini poi di Capitana e infine di Is Mortorius. Da quella tracca di campagna erano stati scaricati mamma, zia, nonna, cuginette, polli da arrostire, fiaschi di vino, formaggi, sedani, brocche d’acqua, angurie, meloni cantalupo e masserizie varie. Gli uomini avevano preceduto il carro, muovendosi in vespa. Uomini in canottiera. Donne in scamiciato. Una calda estate picchiava sopra le loro parti scoperte. Gli uomini avrebbero preparato il fuoco e la brace per la carne. Le donne, prima di partire, avevano cucinato una civedda di malloreddus. Per i piccoli erano previste alcune gazzose Puddu, da calare nel pozzo insieme alle angurie, per farle fresche. Su una vespa 175, Vincenzo, zio di Ugo, e dietro Mario, suo babbo. Su un’altra vespa 125, Lucio, un amico di famiglia e dietro sua moglie Lisetta. La comitiva era così, al completo: sei giovani adulti, due nonni, un bambino e due bambine. Ugo lui. Annetta e Giuletta loro. La gita, in cambarada, si ripeteva ogni domenica d’estate, da Giugno a Settembre, e qualche volta fino ad Ottobre. Ogni volta sembrava un trasloco. Dal tempo dei primi fichi neri e bianchi, a quello dei primi fichi d’India. Tutti loro a parte i ragazzini, avevano fatto o visto la guerra. Da qualche tempo nonno Antine, prometteva ad Ugo che lo avrebbe portato in calesse, in un posto dove la guerra c’era stata, un po’ più in là di sant’Andrea. Fino ad allora Ugo non si era mai spinto tanto in là. Al Poetto di Cagliari aveva visto e toccato i bunker antisbarco piazzati sulla spiaggia. Dentro uno di quei fortini abbandonati ci viveva una famiglia di poveri senza casa. Una torre costiera spagnola era stata trasformata in posto di vedetta e nido di mitragliatrici, in quel tratto di riviera che andava verso il Margine Rosso. I Mori venivano dal mare. Gli alleati liberatori potevano venire da quello stesso mare. Così i nazifascisti di stanza nel Golfo degli Angeli, si erano disposti a fronteggiarli e respingerli. Il nonno di Ugo era uno di quei tanti fascisti che sarebbero stati felici e contenti che la guerra fosse potuta durare per sempre in un mondo bunkerizzato e militarizzato. Tratto di mare, tratto di guerra, tutti giù per terra. Tratto di costa armata. Una piccola Normandia, dove non sarebbe sbarcato nessun mezzo anfibio a stelle e strisce. Nonno Antine gli aveva raccontato di reparti e azioni in Libia, Somalia, Etiopia, Albania, Grecia. Non gli parlava d’altro, e Ugo non pensava ad altro che ai Tre Moschettieri e ai Ragazzi Della Via Pal. E poi il Duce a Cagliari e ad Arborea e le Case del Fascio e la Gioventù Littoria. Ugo non pensava ad altro che a Black Macigno e Capitan Miki. Suo nonno a dirla tutta, sapeva ammazzare nemici e africani delle colonie imperiali, ma non sapeva nuotare. Non lo aveva mai saputo fare. Quel fatto di mettersi in mutande e a mollo in mare gli sembrava una cosa da femminucce. Anche sua nonna non sapeva nuotare ma qualche bagno in camicione bianco lo aveva fatto. Nessuno di loro sapeva nuotare o fare tuffi. Tutt’al più si bagnavano in riva o poco piu’ in là e comunque evitando con cura che l’altezza dell’acqua superasse l’ombelico. Ugo invece da subito aveva imparato a cavarsela in mare, nuotando e “tuffando”. Ormai poteva perfino affrontare a petto in fuori e testa bassa le mareggiate del Poetto. Il mare del Poetto dava abbondanti cannolicchi, a saperli individuare infilati dentro la sabbia, sott’acqua. Il mare di sant’Andrea, sotto la Torre, e tra i ruderi romani, crollati in riva, dava orziadas, in quantità, ricci e piccoli polpi. Tutto si poteva prendere a mano, in quello specchio d’acqua compreso tra la Torre e gli scogli, armati di forchetta e coltello. Altrettanta abbondanza regalava il mare di Is Mortorius, patelle di scoglio e lumache di mare comprese, così come a sant’Andrea, del resto. Ugo l’avrebbe sperimentato e toccato con mano quel ben di Dio di ghiaia, sabbia, scogli, scorfani (scropule, per gli amici), murene, pisciu re, maccioni. Di tutto un po’ come a sant’Andrea, dove in più, però, poteva capitarti tra le mani, mentre cercavi orziadas, un collo d’anfora, tessere di mosaico, anche una moneta dei tempi “de prima”, quelli di Roma Imperiale. (continua)

    Carlo Antonio Borghi

  9. Promontorius (prima parte)

    Tratto di mare. Altrettanto tratto di costa. Di tratto in tratto, la Sardegna è così: tutta affacciata sul mare, per sua e per nostra fortuna. Affacciati tutti, noi isolani, compresi quelli dell’interno che il mare lo vedono solo se ci sbattono il naso. Affacciati tutti, anche mufloni e sirboni, per non dire di aironi e fenicotteri, cormorani e aquile pescatrici. Affacciati perfino fichi d’india e foche monache. Magia dell’affaccio. Tutto ad un tratto, può sempre capitare qualcosa che solo il mare mago e magnum può riversare in poesia o in prosa. Ugo quel tratto di mare che andava dalla Capitaneria di porto di Cagliari fino al bunker di Is Mortorius, lo aveva conosciuto e assaggiato fin da piccolo. Nel tempo aveva imparato a giocarci con quel tratto di costa morbida che andava dalla prima torre del Poetto fino al fortino Mortorius. Nel mezzo la gran torre spagnola di Foxi e i ruderi di villa romana con torre pisana in località sant’ Andrea. Qui, certi suoi parenti stretti, disponevano di una piccola casa e di un piccolo orto, vicino al mare. Non era manco nato che già era un bimbo bagnante di spiaggia in città. Per lui il Poetto andava dalla prima fermata fino a quel Promontorius, come si era inventato di chiamarlo. Era stata la spiaggia, quella dei casotti e dei lidi, ad insegnarli come andava il mondo. Fin dove si poteva andare con il tram, si andava con quello, fino all’ospedale marino. Per andare oltre occorreva una corriera o un automobile, ad avercela, o perlomeno una bella vespa e, male andando, una bicicletta. A quel tempo, nel contado intorno a Cagliari, circolavano ancora carri e calessi. Fu nel ‘56, l’anno della grande nevicata e dell’ invasione dell’Ungheria che Ugo provò l’esperienza di viaggiare su un carro tirato da un cavallo, da Quartu fino a sant’Andrea, in compagnia di mamma, zia, cugine e un paio di pollastri da spiumare durante il tragitto. Sopra un calesse, tirato da quello stesso cavallo e guidato da suo nonno, reduce di tutte le guerre fasciste, era stato per la prima volta a is Mortorius. Teatro di costa. Teatro di mare. Teatro di guerra, l’ultima. (continua)

    Carlo Antonio Borghi

  10. io invece ho trascorso parecchie delle mie estati in questo splendido luogo e penso sia bellissimo cosi’ com’e’! Di punti di ristoro penso ce ne sia anche troppi nelle vicinanze!
    lo si dovrebbe valorizzare dal punto di vista archeologico e strorico e tenerlo pulito, questo si!

    • Quest’estate nella ricera di spiagge meno affollate, partendo da cagliari sono capitata più volte a IS Mortorious, certo è che prima di goderla bisognava fare pulizia, lo sanno bene anche gli amici sardi incontrati proprio lì. Lasciamola al naturale ma garantiamo accessi (bus???) e raccolta rifiuti (cestini), la struttura a terra deve però essere recuperata cosa fare? Lasciarla gestire ai giovani, che si avvicinino al mare e scelgano se suonare, andare in barca, nuotare ecc.
      Non pensiamo ad un ritorno economico così si salva!
      Colgo l’occasione per dire che mancano le piste ciclabili!!!!

  11. Ho passata una vacanza di 15 giorni a Is Mortorius e nonostante siano passati molti anni la ricordo ancora con piacere. E’ una zona molto tranquilla e secondo me questo particolare andebbe rispettato nel progetto di riqualificazione della zona, ma andrebbero valorizzate maggiormente le sue spiaggie magari con una pulizia più adeguata ad inizio stagione o qualche struttura che possa agevolare la sua frequentazione da parte di chiunque, senza intaccare la natura. Qualche ambiente ricreativo (locali, bar) nella zona non guasterebbero. Spero di essere di aiuto con questa mia piccola idea. Carla Lilliu


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